All’inizio, in marzo, c’era molta diffidenza nei loro confronti, poi con i rifugiati africani si è passati dall’accoglienza al coinvolgimento
I tre ragazzi rifugiati politici, che da marzo scorso vivono a Fumane per tutti, all’inizio, erano semplicemente i «profughi», ma oggi, dopo quattro mesi, i cittadini fumanesi hanno imparato a chiamarli per nome, a salutarli lungo le vie del paese quando sfrecciano con le loro biciclette gialle fosforescenti, a riconoscerli come semplici compaesani.
«All’inizio», dicono alcuni componenti del gruppo Caritas paesano, «c’erano sicuramente alcune preoccupazioni, soprattutto da parte del vicinato, ma con il tempo tutti hanno dovuto ricredersi e in quattro mesi non è mai arrivata alcuna lamentela».I tre africani vivono in centro a Fumane, in una casa messa a disposizione da una famiglia generosa. Sono arrivati a una convenzione tra Prefettura, l’associazione il Samaritano, la casa di accoglienza legata a Caritas diocesana, e la Caritas parrocchiale, che ha fatto sue le parole di Papa Francesco sull’accoglienza di rifugiati e profughi.Ma fin dall’inizio c’è stato anche l’appoggio dell’amministrazione comunale di Fumane, di altri gruppi e associazioni e di privati cittadini. «E questa collaborazione da parte di tutti», continuano i componenti di Caritas Fumane, «ha reso molto più
semplice l’ambientamento dei ragazzi. Con il Comune è iniziato anche un rapporto di volontariato: i ragazzi sono stati coinvolti nei lavori socialmente utili, in cui i tre hanno aiutato i dipendenti comunali nei vari servizi lungo le strade del paese. E i giudizi da parte dei dirigenti del Comune sono stati molto positivi».Recentemente è avvenuto anche un incontro tra Caritas Fumane, il sindaco Mirco Frapporti e il presidente del Samaritano, Michele Righetti, per fare il punto di questa esperienza di accoglienza e sul suo proseguimento. «Ci si è posti come obiettivo quello di coinvolgere ulteriormente i ragazzi nel paese e magari inserirli in una proposta lavorativa concreta con privati, magari nel prossimo periodo della vendemmia». I componenti della Caritas parrocchiale sottolineano, infine, l’importanza di vivere un’esperienza come questa. «L’accoglienza di ragazzi profughi o comunque che vivono situazioni di disagio, mostra la faccia concreta della Chiesa: quella dell’impegno concreto, nell’aiuto al prossimo. Vedere questi ragazzi creare un piccolo orto nella nuova casa, giocare a basket nella società del paese, cantare e suonare i tamburi negli eventi paesani, apre il cuore, perché significa che si stanno inserirendo. Se sono arrivati in Italia, lasciando famiglie e certezze e rischiando la vita in viaggi incredibili, significa che nel loro paese era difficile continuare a vivere. È importante accoglierli, farli sentire a casa, anche per affrontare l’immigrazione con occhi diversi. Ora non si tratta più di semplice accoglienza, ma anche di inserimento e, perché no, di rapporti anche d’amicizia che possono nascere».